Come ben sappiamo nel nostro ordinamento il patto di quota lite è generalmente sempre vietato.
La ratio di questo divieto risiede nella volontà del legislatore di garantire la dignità e la moralità della professione, evitando la partecipazione del legale ad interessi economici esterni.
A precisazione di questo divieto la recente giurisprudenza sul tema, nonché l’interpretazione del CNF all’art. 13 della legge n. 247/2012, hanno ritenuto valido quel patto con cui le parti si accordano a titolo di compenso, sulla percentuale del valore dell’affare, ma non sull’effettivo risultato conseguito.
Nel caso di specie, un avvocato ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti di un suo cliente per il pagamento degli onorari professionali. Il cliente a sua volta proponeva opposizione a decreto ingiuntivo ritenendo integrata l’ipotesi del patto quota lite. In primo grado e di fronte la Corte d’Appello, i giudicanti hanno ritenuto infondata l’opposizione, ritenendo che l’accordo fosse successivo alla conclusione del giudizio civile e che quindi per tale motivo non potesse essere qualificato quale patto quota lite.
Il cliente ha cosi provveduto ad effettuare ricorso per cassazione ritenendo che i giudici di secondo grado avessero omesso alcuna motivazione sull’eccezione di nullità del patto di quota lite.
Gli ermellini con la sentenza n. 2169/2016 hanno però tenuto a ribadire quanto già dedotto nei precedenti gradi di giudizio, ritenendo che quanto pattuito fra le due parti integrasse una scrittura privata contenente l’accordo fra le parti, e non un patto di quota lite, proprio perché stabilito successivamente all’esito del giudizio. Nello specifico si individuava la scrittura quale una ricognizione del debito.
Numerose le sentenze richiamate dal ricorrente per corroborare la propria tesi, le quali secondo gli Ermellini integravano ipotesi di patti antecedenti al risultato del giudizio, e quindi in violazione dell’art. 2233 c.c.
Medesimo risultato per il ricorrente in merito all’eccezione secondo cui il giudice d’appello avrebbe deciso la controversia con il legale sulla base dell’atto di ricognizione del debito prodotto dallo stesso, senza che questi avesse formulato alcuna emendatio della domanda. Anche tale motivo è risultato infondato. L’avvocato opposto, introducendo, fin dalla comparsa di costituzione l’accordo intervenuto con il cliente sull”ammontare dei compensi a fondamento della sua pretesa ha precisato la domanda, limitata prima alla sola parcella accompagnata dal parere di congruità “e poi estesa all”accordo”.
Vedi la sentenza a questo link